lunedì 14 maggio 2012

Never let me go



Non lasciarmi - Kazuo Ishiguro
Einaudi - Euro 12,00
C’è una società il cui progresso scientifico ha consentito la possibilità di creare cloni che han-no l’unico scopo di donare i loro organi agli essere umani malati. Eticamente corretto? Uma-namente scorretto? Non conta, non ci importa. Consideriamo che questi cloni vengano allevati, educati ed istruiti in college che lasceranno per inserirsi nel contesto sociale come, appunto, donatori. Ma prima di essere donatori faranno da assistenti a dei donatori. Sono destinati a morire per far vivere altre persone. È giusto que-sto? Non fa testo neanche questo. Ma cosa importa allora? Fra i vari college ce ne è uno in particolare, Hailsham, dove i ragazzi vengono educati all’arte e alla creazioni di disegni, dipinti, poesie. A cosa servono? Perché Madame seleziona i migliori e se la porta via? E i ricordi che ruolo svolgono? Beh i ricordi sono importanti, sono fondamentali. È grazie ai ricordi che Kathy H., la protagonista e la voce nar-rante di questo libro, ci può raccontare la storia di un’amicizia, di un tenero amore. Cos’è l’amore per questi cloni? Cos’è l’amore per questi cloni, o ragazzi, lo scopri. E non è piacevole.
Come non è piacevole rendersi conto che durante tutta la lettura del libro questo discorso del clone che serve solo per donare organi agli esseri umani ci sembra normalissimo. Questa è la grande capacità di Ishiguro: riesce a trasportarti all’interno della situazione e a fartela vivere esat-tamente come i personaggi la vivono.
E i nostri personaggi sono Kathy H., la sua grande amica, Ruth e Tommy. E la relazione che lega questi tre ragazzi non è onirica, non è utopica, è bellissima e terrificante. Siamo così tragicamente fragili e resistenti allo stesso tempo. È esattamente come una relazione reale.
Ma a questo punto ci si chiede cosa possa essere reale o meno. Neanche questo conta.
Le cose così sono e così stanno. Si può fare qualcosa per cambiare la situazione? E: servirebbe a qualcosa? Realmente cosa siamo? Cosa vogliono da noi? Qual è il nostro scopo?
In perfetto stile giapponese (anche se vive in Inghilterra dall’età di sei anni), Ishiguro ci illustra con eleganza quanto può essere difficile provare emozioni, quanto può essere bello e quanto non è facile dominarle (o alme-no tentare). È commovente la schiettezza con cui pone i fatti al lettore che si impersona completamente nei personaggio e patisce le loro sofferenze e si innamora come loro si innamorano.
Questo libro è una delicata carezza che però non puoi dimenticare, ti lascia qualcosa.
È bravo Ishiguro. Ma alla fine siamo tutti soli.

Recensione di Asia Sabatini

Cambiare vita

Hai mai pensato quanto può essere difficile cambiare la tua vita, per necessità, e trovarti in un paese completamente diverso? Beh, non è così semplice come sembra!
Io vengo da un paesino molto piccolo della Romania, che è quasi del tutto isolato dal resto del mondo.
All’età di 10 anni ho dovuto raggiungere i miei genitori in Italia poiché loro dovevano lavorare per riuscire a vivere e l’Italia era una buona opportunità.
Ero piccola ancora, ma stavo cominciando a crescere, ad avere i miei amici, i miei affetti. Quando mi è arrivata la notizia che dovevo venire in Italia, dentro di me stavano combattendo tante emozioni, perché dovevo da una parte lasciare quella piccola vita che avevo lì, dall’altra però potevo stare vicino ai miei genitori (e questo era decisamente positivo). Come me allora molti bambini vivevano con i nonni perché i genitori lavoravano all’estero (e tutt’ora accade questa cosa) e si vedevano solo di rado; io invece potevo crescere con loro e questo mi rendeva felice.
Dopo un lungo viaggio in macchina di circa 20 ore sono arrivata a Roma. Mi sentivo completamente spaesata, confu-sa e molto diversa. Intorno a me vedevo grandi palazzi, autobus che circolavano in continuazione, gente che andava e veniva e non si fermava mai, tutte cose che nel mio paesino ovviamente non c’erano. Lì la gente vive in modo più tranquillo, si conoscono tutti e si parlano e gli autobus circolano si e no due volte al giorno.
È un ambiente quasi da sogno per chi vive in una grande città come Roma.
Le grandi città sono sempre affollate e la gente è sempre stressata, mentre quel mio paesino che devo dire mi manca parecchio, è l’ideale per vivere tranquilli. D’inverno la neve è bianchissima e cade a tonnellate, raggiunge anche i tre metri d’altezza, la pioggia è pulita che quasi ti viene voglia di ballarci sotto e l’aria è veramente fresca, i paesaggi verdi e la gente si diverte con poco. Mi ricordo che ci riunivamo davanti casa di qualcuno (chi capitava) tutti, venivano bambini anche da altri paesini e giocavamo in modo semplice solo per ridere, non avevamo telefoni o playstation o altre cose tecnologiche, molti non avevano neanche la televisione.
A distanza di nove anni, le cose sono cambiate anche lì, c’è più tecnologia, la gente si è creata un nuovo modo di vivere lavorando all’estero ma comunque l’atmosfera è sempre bella e il modo di vivere è sempre semplice.
Beh, pensate come è stato difficile passare da una vita semplicissima e una più intensa e piena di nuove cose. È stato bello ma in un certo senso difficile, per esempio farsi accettare dagli altri bambini. I primi anni piangevo tutti i giorni perché nessuno giocava con me, ma crescendo ho capito che non si può piacere a tutti e sicuramente se non fossi venuta qua adesso non sarei ciò che sono.

di Michela Herman

Quando sei nato non puoi più nasconderti


Con Alessio Boni, Michela Cescon, Matteo Gramola
Regia di Marco Tullio Giordana, Italia, G.B., Francia, 2005
Il film racconta la storia di una famiglia benestante di Brescia, che viene sconvolta da quello che succede al figlio. Durante un viaggio in barca con il padre, con il quale ha un rapporto molto aperto, Sandro, il protagonista, che ha dodici anni, cade in mare, ma è salvato da un ragazzo rumeno, Radu, e accolto in un barcone di immigrati clandestini diretto verso l’Italia. Qui Sandro conosce una realtà molto diversa da quella in cui vive abitualmente ed avrà modo di vedere le disperate condizioni dei migranti e la crudeltà degli scafisti. Sandro riesce a tornare dalla sua famiglia e vuole aiutare a tutti i costi Radu, che lo ha salvato, e sua sorella Alina, che viaggiava con lui. Tra i tre ragazzi infatti è nata un’amicizia, che Sandro sente in modo particolare, e che gli aprirà un mondo sconosciuto e difficile a volte da capire. Questo film mi ha colpito molto proprio per le tematiche che affronta. Il titolo vuole significare che la stessa nascita segna il passaggio alla vita, non sempre facile, che devi affrontare e a cui non puoi fuggire nascondendoti. Questa situazione è rappresentata dai due ragazzi rumeni, i quali, nonostante siano cresciuti in una realtà molto diversa da quella di Sandro, sono comunque guidati dagli stessi sentimenti e dagli stessi bisogni. Mi ha soprattutto colpito il modo di raccontare l’immigrazione clandestina vista con gli occhi innocenti di un ragazzino; il protagonista viene a conoscenza di un mondo complicato, che riserva una vita spensierata solo a chi ha la fortuna di essere ricco, mentre non dà speranza a tanti immigrati che giungono in Italia.

Recensione di Francesca Cosentino

Madre piccola


Madre piccola – Cristina Ali Farah
Frassinelli 2007 – Euro17,00
Sei in una stanza e con te c’è una donna e il suo nome è Barni, ha una voglia a forma di cuore sulla fronte e un naso molto pronunciato. È scura di carnagione, è somala.
Sei in una seconda stanza e c’è Taageere, alto, dal fisico asciutto e longilineo, ha gli occhi stanchi. È scuro di carnagione, è somalo.
Sei in una terza stanza, c’è un’altra donna che si chiama Domenica Axad, ha delle cicatrici sulle braccia che non nasconde più e dei ricci indomabili. È mulatta, è italo-somala. E tu, lettore, passi da una stanza all’altra. Conosci l’una e l’altro, le loro storie e i loro perché.
Le difficoltà di vivere, le scelte fatte, le relazioni che legano inevitabilmente i vari personaggi di questa storia fin troppo reale.
C’è anche un posto che noi (romani) conosciamo bene: Stazione Termini. Da sempre punto di snodo, di incontro e di fuga. Ed è lì, in quella accozzaglia di nomi, lingue, fisionomie, culture e tradizioni che si incontrano e si scontrano quei personaggi che saranno capaci di farci rendere, almeno un pochino, conto di cosa comporta una società multiculturale. Perché è difficile riuscire ad inserirsi, è difficile permettere a qualcun altro di inserirsi.
Ma è terribilmente bello quando riesce. La possibilità di crescere non ci è negata, sta solo a noi coglierla. Da perfetti egoisti siamo portati a pensare a quanti problemi possono nascere per i cittadini di uno Stato con un’alta presenza di stranieri. Ma questo libro mostra anche l’altra faccia della medaglia: la difficoltà degli stranieri ad ambientarsi. Le difficoltà da entrambe le parti di relazionarsi e accettare del tutto o in parte le leggi che regolano questi mondi diversi. Ma un’altra cosa ci ricorda questo libro: quanto la guerra sia stupida. Quanto la guerra sia capace di lacerare nel profondo una popolazione. Il dolore che porta con sé, la lunga fuga, la diaspora senza una meta.
Questo non è solo l’esposizione delle difficoltà di Domenica Axad che si trova a cavallo di due culture estremamente diverse fra loro: e le diversità non riguardano la lingua. È un modo di agire, è un modo di pensare, è l’educazione, è il contesto socio-politico. E come affrontare questa situazione?
Madre piccola non è un grande libro, non è un best-seller. Non è un capolavoro, non è intrigante.
È una timida e intima confessione. E vale sempre la pena ascoltare quello che una persona ha da confidare.

Recensione di Asia Sabatini

Una testimonianza

INTEGRAZIONE: L’atto e l’effetto dell’integrare una persona qualsiasi siano le sue origini. Oramai sono quasi 15 anni che mi trovo qui in Italia. Molti affermano che sono italiana, ma io sinceramente mi sento al 100% polacca. Oggi come oggi sono felice delle mie origini, ma questa affermazione era diversa quando ero piccola. Avevo un anno quando ho respirato per la prima volta l’aria italiana .All’inizio non mi piaceva molto questo paese. Notavo delle differenze abnormi, prima di tutto il cibo, anche se ero piccola il sapore ero in grado di distinguerlo; crescendo ho scoperto che in Polonia non esistono ogm (organismi geneticamente modificati) tramite chimica o altri agenti non naturali, e se esistono ce ne sono in quantità piccole. La cucina polacca è molto diversa dalla cucina attuale italiana poiché, appunto, in Polonia usano soltanto organismi naturali e non vegetali cresciuti in serre. Ogni estate andavo in Polonia e quando ritornavo era sempre un pianto...Mi mancavano i nonni, i piatti tipici polacchi, le battaglie con i cuscini con zia, i miei cugini, l’aria fresca e pulita, gli enormi campi sempre verdi dove ti potevi buttare e rotolare per tutto il giorno, le passeggiate per le piazzette…In sintesi tutto. Ma purtroppo mi dovevo abituare, i miei genitori avevano deciso una vita così e così doveva essere. Il trauma, se così si può definire, è iniziato il primo anno della materna: a volte tornavo a casa in lacrime perché mi sentivo dire che ero diversa dagli altri. Quante volte mamma ha passato i pomeriggi a spiegarmi che ero e sono uguale agli altri, che l’amicizia non si basa sul colore della pelle, sulla religione o sulla provenienza. A volte lo capivo, altre no. Sbagliavo. Solo alle elementari l’avevo capito, grazie allo studio e all’approfondimento sull’uguaglianza dei bambini, così mano mano che passavano gli anni, ero sempre più sicura di me, e se qualcuno osava contraddirmi su questo argomento sapevo benissimo come rispondere, mi ero informata bene. A dire la verità in parte mi hanno aiutato anche gli insegnanti che ho avuto in precedenza. A volte penso a come sarebbe stata la mia vita adesso se i miei avessero deciso di ritornare in Polonia, potevo benissimo abitare con mia nonna o in riva al mare o chissà dove…Anche se magari all’inizio non ero d’accordo con il “trasloco” e non sempre ero felice in quei tempi, ne è valsa la pena. Ringrazio i miei genitori perché inconsapevolmente mi hanno dato una vita fantastica qui a Roma.

di Vanessa Kowal

Progetto: Il mondo a scuola

I flussi migratori sono un fenomeno presente da sempre nel mondo: consistono nello spostamento di masse di persone in un territorio che non corrisponde a quello d’origine. Le classi 3A e 3B nell'ambito del progetto "Il mondo a scuola", allo scopo di verificare l'esistenza di eventuali flussi migratori nelle famiglie degli alunni del nostro Istituto nell'ultimo secolo, hanno elaborato un questionario che è stato somministrato al triennio dei corsi A, B, EL, AL. Le domande riguardavano gli alunni, i genitori degli alunni, i nonni, i bisnonni ed eventuali parenti stretti. Il questionario, una volta elaborato, è stato portato a casa perchè gli alunni avevano scarse conoscenze sulle proprie radici e quindi hanno dovuto interrogare le loro famiglie per acquisire maggiori informazioni. Sono stati distribuite 250 schede; quelle utilizzate in modo valido sono state 140 perchè alcune non sono state compilate, altre in parte, altre in modo superficiale, altre erano contraddittorie. In base agli esiti del questionario, risulta che solo il 5% degli alunni è costituito da stranieri e la maggior parte degli alunni, circa 83%, è nata nel Lazio senza mai vivere un’esperienza di trasferimento, mentre del restante 17%, la maggior parte si è trasferita all’interno della propria regione e solo una piccola parte ha effettuato un trasferimento proveniente dall’estero o da un'altra regione italiana. Quasi a parità di dati, gli alunni che si sono spostati lo hanno fatto durante l’adolescenza o l’infanzia e sono rispettivamente il 52% e il 48%. Per quanto riguarda i genitori si può notare che più del 60% è nato nel Lazio. Il restante è nato in un'altra regione italiana o in un altro paese europeo. La percentuale si abbassa quando si chiede se si è mai trasferito, con un circa 56% sul no, con un 35% sul trasferimento in Italia e il restante 9% in un paese straniero. Dai dati che sono emersi la fascia d’età in cui i genitori si sono trasferiti è per il padre l’adolescenza (10-25 anni) o la sua infanzia (0-10 anni) mentre il periodo è nel secondo dopoguerra. I motivi del trasferimento sono soprattutto personali e famigliari, infine emerge che il primo lavoro che trovato in seguito al trasferimento è quello nel set-tore industriale/artigianale. Le madri sono per l’88% italiane e nate nel Lazio per il 66%. Il 45% di queste si sono trasferite in un’altra regione italiana e poche sono le madri che si sono trasferite all’estero. Dalle statistiche risulta che la maggioranza (sempre delle mamme) ha conosciuto l’esperienza del trasferimento nell’età che va dai 25 ai 45 anni e una soltanto dopo i 45 anni; quindi i trasferimenti sono avvenuti particolarmente negli anni ’70/’80, in corrispondenza dello sviluppo urbanistico di Roma, concentrandosi anche nella zona circostante alla nostra scuola, che delimitava parte della periferia della capitale. Dato gli spostamenti sono avvenuti negli anni del “boom” economico le madri hanno trovato lavoro nel settore dei servizi e del commercio. I nonni materni: sono il 45% quelli nati nel Lazio e il 44% quelli nati in un’altra regione italiana, il restante 11% sono stranieri. Anche i nonni paterni sono quasi tutti nati nel Lazio, per il 54%, e in un’altra regione italiana per il 40%. La fascia d’età in cui si sono verificati maggiori spostamenti, sia per i nonni materni che per quelli materni, sono l’adolescenza (10-25 anni) e l’età adulta (25-45 anni) e il periodo è quello del secondo dopoguerra. I motivi sono sempre economici ma soprattutto personali e per il lavoro non c’è un settore in particolare che spicca rispetto agli altri.
Dall’indagine sui bisnonni materni, ossia madre e padre di nonno materno, risulta una prevalenza di nati nel Lazio, il 51%. Qui si alza ancora la percentuale di coloro che non si sono mai trasferiti: il 92%. Sui bisnonni paterni: il 65% delle persone è nato nel Lazio mentre il restante 35% si è trasferito tra Italia e paesi stranieri. La fascia d’età che registra i maggiori trasferimenti è l’età adulta con 67%, il periodo più diffuso è quello del primo dopoguerra, mentre i motivi sono sempre economici e personali, ma spicca il moti-vo politico con il 21%. Il primo lavoro è sempre nel settore agricolo.
I dati della nostra ricerca saranno in seguito presen-tati in modo più analitico nella stesura finale del Progetto.

Francesca Casentino
Federica La Rosa
Stefano Coletta
Roxana Popescu